La brutta storia delle molestie a UniTo

Da qualche giorno l’università di Torino pare essere stata investita da un ciclone: il procedimento disciplinare a carico di un docente di Filosofia, l’arresto di un altro docente dell’Ateneo per molestie e l’alto numero di segnalazioni di possibili molestie e abusi rende il fenomeno tutt’altro che derubricabile a “pochi casi isolati”. Non è sufficiente che il Rettore si indigni e che i docenti dichiarino di essere scossi. Si impone invece una seria riflessione sull’uso e l’abuso del potere nella nostra università.

Il #MeToo accademico non è una novità a Torino. Già nel 2020 i rettori di UniTo e PoliTo avevano manifestato preoccupazioni per le molestie emerse da indagini condotte non dagli atenei, ma da alcuni gruppi informali

(https://torino.repubblica.it/cronaca/2020/11/29/news/molestie_nelle_universita_di_torino_ecco_la_valanga_di_messaggi_denuncia-276295862)

Ciò che è stato fatto in questi tre anni appare evidentemente insufficiente. Se le informazioni sulle procedure che componente studentesca, personale docente e personale TA devono seguire e utilizzare per denunciare le molestie subite sono reperibili sul sito UniTo, resta da chiedersi perché le segnalazioni formali siano così poche rispetto a quelle informali. Forse perché non è mai stato avviato un ampio dibattito pubblico né attivate forme di sensibilizzazione e condivisione, né un sistematico monitoraggio degli esiti di queste segnalazioni. Forse perché c’è un solo sportello antiviolenza in tutto l’ateneo, al Campus Luigi Einaudi, che apre una sola volta la settimana.
Forse perché esiste o resiste un clima di indifferenza o, peggio, di complicità e omertà. “Ma sì, tanto si sa che queste cose accadono”, “Lo sapevano tutti”, “Beh, in fondo l’università funziona così”. Dietro a queste frasi si nasconde non solo una sottovalutazione del fenomeno ma l’idea perniciosa che un abuso di potere da parte di un/a docente possa magari essere considerato spiacevole e inopportuno, ma in fondo normale. E ciò non riguarda solo le molestie ma tutti i casi in cui l’asimmetria del potere si trasforma in prevaricazione o violenza.

Come vigilare e come opporsi a queste pratiche che rischiano di esaurirsi con un provvedimento più o meno esemplare? Sono molte le azioni da intraprendere, ma tre sono quelle a nostro avviso imprescindibili e più urgenti: maggiori informazioni e trasparenza su cosa accade dopo la denuncia, su quali siano le sanzioni possibili, che devono essere severe, e i criteri con cui sono comminate; un serio e ampio investimento su progetti di educazione e formazione per chi lavora e studia a UniTo, in primis per la componente docente che deve essere coinvolta non su base volontaria, al fine di costruire strumenti culturali e una consapevolezza diffusa; condivisione dei processi che devono tutelare tutte e tutti e che non possono esaurirsi con decisioni di vertice, bensì che devono essere il riflesso di un ascolto di tutte le componenti dell’Ateneo e di una seria autocritica da parte della classe dirigente universitaria.

Bisogna cambiarla quella cultura di genere, figlia di una cultura di potere, un potere che oggi è prevalentemente nelle mani di uomini. E bisogna anche intervenire seriamente sull’omertà che caratterizza il mondo accademico e fornire supporto a chi la violenza la subisce.

Il ciclone che si è abbattuto su UniTo deve essere l’occasione per cambiare, cambiare davvero per non doverci ritrovare, tra qualche anno, esattamente nello stesso punto a stupirci di cose che tutt* sappiamo o quantomeno sospettiamo.